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Tassate i ricchi

Il 28 marzo 2023, mentre in tutta Francia la popolazione scendeva – di nuovo – in strada per protestare contro…

Il 28 marzo 2023, mentre in tutta Francia la popolazione scendeva – di nuovo – in strada per protestare contro la riforma delle pensioni voluta dal presidente Macron, i social sono stati invasi dal grido “taxez les riches”, tassate i ricchi, intonato a ritmo di musica techno. Per poterlo raccontare ho fatto una banale ricerca, digitandolo, aggiungendo altre parole chiave su Google, sfogliando le notizie, ma solo scrivendo il nome del collettivo per il clima Alternatiba Paris ho trovato qualcosa. Niente, il nostro nuovo inno pare non abbia attecchito Oltralpe. Il perché so spiegarmelo: quel che a noi sembra straordinario, per chi vive in Francia è ordinario.

Lo stesso possiamo dire di quel che sta succedendo in queste ultime settimane: città messe a ferro e fuoco, servizi bloccati, scuole chiuse, trasporti fermi. Noi, che siamo abituat3 a tre scioperi l’anno e mi raccomando non durante l’orario di punta, guardiamo ai fatti francesi come fosse il 1789 e stessero per ghigliottinare qualcunə. Ma ancora, non è straordinario, è ordinario. Una delle prime cose che ho imparato quando mi sono trasferita in Francia, nel 2009 (per restarci fino al 2020) è che il popolo francese è un popolo di râleurs. Che significa, più o meno, lamentosi. Ma molto più che lamentosi: lamentosi e rompicoglioni. All’inizio, da italiana millennial abituata a stage non retribuiti, orari di lavoro infiniti, sensi di colpa per le ferie e co.co.pro. perché ti faccio un piacere, ho reagito proprio come stanno reagendo molte persone di fronte a quel che accade in Francia: e che esageratə, mamma mia. Quando le mie figlie hanno iniziato la scuola dell’infanzia e ho scoperto che ogni due mesi avevano due settimane di vacanza, ugualmente ho pensato, per forza poi non riescono a tenere i nostri ritmi – i nostri ritmi italiani – non sanno nemmeno che vuol dire fare nove mesi di lavoro senza sosta. Poi, sono diventata francese anch’io.

Quel che sta accadendo in Francia in queste settimane è conseguente alla riforma delle pensioni voluta dal governo e dal presidente Macron, già nell’aria da anni. Anche in questo caso, vi sento già dire: ma che sarà mai, da 62 a 64 anni, e allora noi cosa dovremmo dire? Amic3, ve lo dico: è proprio così che ci inculano. La riforma prevede un aumento di due anni dell’età minima per andare in pensione, da 62 a 64, appunto. A 64 anni si potrà già andare in pensione, prendendo però l’85% dello SMIC (il salario minimo), cioè circa 1200 euro al mese, oppure si potranno raggiungere i 47 anni di contributi per poter prendere la pensione al 100% (con un’uscita massima dal mondo del lavoro a 67 anni). Se poi si va a leggere nel dettaglio la proposta – di cui trovate un articolo completo su Les Echos – viene quasi da sorridere, per chi vive e lavora in Italia, scoprire quante siano le eccezioni e quanti i finanziamenti previsti per determinate categorie (per esempio, le madri lavoratrici che possono riscattare maternità e altri congedi).

La riforma è stata presentata ufficialmente a gennaio 2023 e già da subito ha mobilitato i sindacati. Per la prima volta dopo molto tempo, si è creato un movimento di unione dei sindacati per aderire in massa agli scioperi, che comprendono quindi gran parte delle categorie lavorative. La proposta di legge è stata approvata al Senato, ma il governo era sicuro che non sarebbe passata all’Assemblée. E quindi Macron ha fatto ricorso all’articolo 43.9 della Costituzione, cosiddetto d’ “engagement de responsabilité”: in pratica, un testo in discussione in Parlamento può essere adottato come legge da subito, perché il governo se ne assume la responsabilità. Il Parlamento ha tentato due mozioni di censura, previste in questo caso, ma entrambe sono state rigettate. I motivi per protestare, quindi, sono molti, non ultimo il fatto che la legge sia stata attuata senza la maggioranza del parlamento eletto (chi protesta richiede infatti un referendum). Vero è che anche il presidente Macron è eletto dal popolo, ma il ricorso al 43.9 è risultato un po’ too much (dalla sua creazione, è stato applicato un centinaio di volte).

Adesso facciamo un passo indietro. Lo SMIC (salaire minimum de croissance): tutti i lavoratori dipendenti full time a 35 (trentacinque) ore settimanali hanno un salario minimo, che a oggi corrisponde a 1.353,07 euro netti al mese (su 12 mesi). Nessun maggiorenne può essere impiegato, per legge, a uno stipendio inferiore. Come spiega bene il sito della Camera in un documento, il salario minimo è previsto in tutti i paesi dell’UE, ma non nello stesso modo: può essere universale o settoriale. Indovinate quale applica la Francia e quale l’Italia? Oltre a questo, lo SMIC viene rivisto obbligatoriamente ogni 1° gennaio perché venga adeguato all’inflazione, nel 2022 è stato rivisto al rialzo per ben tre volte.

Lo SMIC non è l’unica misura di sostegno per chi lavora. Prendiamo la dichiarazione dei redditi, e facciamo l’esempio di un nucleo familiare con due figlə. I redditi della coppia vengono sommati, per poi essere divisi non per due, ma per chi fa parte del nucleo: ogni adulto vale 1, ogni minore a carico 0.5. Perciò la famiglia con due minor3 divide i propri redditi per 3. Questo permette di avere un coefficiente che è la base di tutto, di qualsiasi aiuto si possa richiedere. Poniamo ancora che questa famiglia impieghi una persona per le pulizie di casa, oppure come babysitter, addirittura qualcunə che insegni musica: questi pagamenti contribuiranno, in alcuni casi, a ottenere una riduzione di imposta che si trasforma in un rimborso (parlo per esperienza) delle tasse accreditato direttamente sul conto corrente.

Passiamo adesso al sistema sanitario. La Francia ha un sistema completamente diverso rispetto all’Italia. Qualsiasi visita medica, anche quella di medicina generale, è a pagamento. Alcunə professionistə scelgono di applicare le tariffe di base, rimborsate al 100% dalla Sécurité Sociale (in certi casi si passa la tessera sanitaria, in altri si paga e lo Stato rimborsa). Qualora ci sia un dépassement, cioè la tariffa sia superiore a quella rimborsata dalla Sécurité, cosa succede? Ogni lavoratorə ha l’obbligo di sottoscrivere un’assicurazione supplementare per le spese sanitarie: chi è dipendente ne ha una aziendale, pagata al 50% dall’azienda, estendibile a tutta la famiglia. Chi è indipendente, può usufruire di quella dell’altrə coniugə o pagarsene una. In questo modo per esempio anche le spese dentistiche sono rimborsate (l’apparecchio è gratuito fino ai 18 anni) e si possono cambiare gli occhiali ogni due anni o prima, se necessario.

Spese come la retta del nido, i servizi scolastici o altro sono calcolate in base al coefficiente di cui vi parlavo più su, su una scala ad 1 a 10, dove 10 è la tariffa massima. La scuola dell’infanzia è obbligatoria e garantita a chiunque, non esistono liste di attesa. Questi sono solo alcuni esempi pratici, che sicuramente vi avranno portato a chiedervi due cose: perché si lamentano, perché sei tornata. Sulla seconda, sono tre anni che me lo chiedo anch’io e vorrei dirvi che ho una risposta, ma non è così. Sulla prima, invece, nessun mistero: è rompendo le palle che si fanno valere i propri diritti, è insistendo, pretendendo, non accettando che anziché progredire si regredisca. È scendendo in piazza, anche ballando musica techno, scioperando (non dimentichiamo che già a fine 2019 la Francia era bloccata a causa della riforma delle pensioni proposta da Macron, a Parigi siamo rimasti senza trasporti per mesi, fino all’arrivo della pandemia), è dicendo NO che si ottengono risultati, che si fanno valere i propri diritti.

È così che si ha un salario minimo universale – tra l’altro giudicato insufficiente, soprattutto nelle grandi città come Parigi dove il costo della vita è smisuratamente sproporzionato – è così che si hanno 35 ore di lavoro, è così che si hanno 5 settimane di ferie all’anno, è così che non si pagano le spese mediche, è così che viene garantito l’accesso all’istruzione, è così che si cerca di raggiungere la parità di genere. Tutto questo si ottiene se non si abbassa la testa, se si lotta per i diritti. Insomma, impariamo da loro. Incazziamoci. Andiamo a prenderci ciò che è nostro a ritmo di musica techno, non di giornate lavorative di 14 ore.   

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