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Il corpo delle donne

“Il corpo delle donne è più bello di quello degli uomini”.  Poi dice come mai non vai alle cene. Dico…

“Il corpo delle donne è più bello di quello degli uomini”. 

Poi dice come mai non vai alle cene.

Dico “dipende dai punti di vista, a me, per esempio, piace di più il corpo dell’uomo”.

L’argomento dell’orientamento sessuale è discutibile, lo so, ma lo uso per prendere tempo, devo fare mente locale perché in genere quando sento qualcosa che mi irrita ci metto un po’ a decodificare le istanze interiori che si agitano, mandano segnali di fastidio, allarme, macchie rosse sulla pelle o iridi verso l’altissimo. 

Nel mio dibattito interno, in genere siamo in tre, c’è una voce che dice: no, no, no, non farti fregare, c’è dietro un tranello me lo sento, non vogliamo assolutamente essere considerate più belle dei maschi.

Seconda voce: vedo una deriva facilissima verso la condizione di oggetto decorativo. Se si parte dal presupposto che la donna sia più gradevole ecco che le abbiamo già aperto una scatola in cui infilarsi, quella della bellezza. Basta mettergliela dietro le ginocchia, qualcuno che le dia una spintina e poi chiudere.

Terza voce: ma poi, da caratteristica a dovere il passo è breve! Se ti dicono che sei la portatrice della bellezza, sentirai il dovere di incarnare quella cosa, sarà tuo compito soddisfare quella definizione che è già diventata aspettativa, sarai costretta a essere bella o a fare di tutto per diventarlo. 

Intanto che parlo con me stessa, Tizio incalza con l’immancabile commento dolce stil novo: 

“Il corpo delle donne è più armonioso”.

“Dipende” dico io. E mi arrivano al cervello immagini di corpi femminili non conformi che ho visto a palate ma li ho visti in quei contesti off limits per l’immaginario collettivo che deve essere salvaguardato, appunto, dall’idea deflagrante che il corpo di una donna possa non essere armonioso secondo i canoni mainstream (magro, giovane, sinuoso ecc.). Ma voce uno dice che forse non è corretto citare quei corpi, forse è offensivo, è tipo body-shaming.

Caio aggiunge che il problema del corpo maschile è il pene, dice che quella protuberanza che loro hanno fra le gambe non è gradevole, non è proporzionata (forse la tua, sussurra voce tre ma le altre due la zittiscono subito), insomma quel coso che ciondola non è bello, non è armonioso. E a me passano nella testa protuberanze femminili tutt’altro che trascurabili e “non armoniose”, seni cadenti, grossi, piccolissimi, sproporzioni, smagliature, culi larghi, spalle strette, ma di nuovo, c’è voce uno che si interroga se questo modo di pensare non sia denigratorio.

In effetti, riflette voce tre, è denigratorio proprio in un contesto in cui si attribuisce alla donna l’obbligo dell’armonia e delle proporzioni. È quel pensiero lì che automaticamente butta fuori chi non è così dal cerchio dell’accettabilità e del femminile. Se dico che donna è uguale a bellezza e armonia tutto ciò che non lo è, sempre secondo la valutazione di qualcun altro (anche in base a quali diete/creme/abiti/tagli di capelli debbano essere venduti), diventa non-donna o non-donna-abbastanza o donna-sbagliata o donna-non-conforme e potrei andare avanti all’infinito.

Riprendo la parola perché mi pare proprio questo il problema principale, fonte primaria di irritazioni cutanee. Appena qualcuno parla di bellezza delle donne generalizzata e presa in blocco mi sento automaticamente esclusa, indipendentemente dagli apprezzamenti che mi porto nello zaino. Dove c’è una categoria c’è e chi sta dentro e chi sta fuori. E il dentro e il fuori mi fanno paura.

Quindi pronuncio le parole che avrei dovuto dire dall’inizio:

“è un fatto culturale”.

Alcuni restano in silenzio un attimo e mi guardano come se fossi scema, altri non mi ascoltano già più, la parola cultura ha spesso un effetto esodante.

Io mi sento stanca perché so di essere al primo gradino di una scala lunga e in salita, se non riconosciamo nemmeno che abbiamo nella testa una serie di ruoli e compiti e caratteristiche e doveri imposti culturalmente perché ognuno di noi stia al grande gioco del capitalismo patriarcale (o patriarcato capitalista, o neo-capitalismo patriarcale) senza protestare e senza cercare alternative, se non vediamo questo, come posso io decostruire nel tempo di una pizza secoli di uomini pittori e donne modelle, uomini scultori e donne modelle, uomini fotografi, cineasti, romanzieri e donne modelle-muse-oggetto-di-desiderio? Come posso smontare la storia dell’arte che abbiamo studiato a scuola e visto in gita, i film, i secoli di “come sei carina alle bambine” e “com’è intelligente” ai maschi?

Ci provo comunque: 

“È un fatto culturale che si ritenga la donna portatrice di bellezza e armonia, è un fatto culturale la bellezza stessa, non esiste bellezza oggettiva, qualunque cosa possiamo pensarne, nel momento in cui si svincola l’aspetto dalla persona dal suo intero essere, il nostro occhio è governato da immagini e parametri prodotti da secoli di letteratura, arte, politica e leggende metropolitane.”
Mi sento Lisa Simpson che legge una tesina ambientalista in classe: la storia della bellezza non oggettiva non passa. Serpeggia un dissenso palpabile e io, sempre in fondo alla scala, sento già la fatica che farò. Non posso neanche attaccarmi alla bottiglia (boccale di birra/bicchiere di vino) perché sono diventata pure astemia. Stringo nella mano il portachiavi a forma di cazzetto fatto all’uncinetto regalo di una follower e prendo la rincorsa. Iniziamo dal Met. Museum. Avete presente lo slogan delle Guerrilla Girls?

Do women have to be naked to get into the Met. Museum? 

Less than 5% of the artists in the modern art section are women, but the

85% of the nudes are female.

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