News

Perché controlliamo ossessivamente i nostri corpi

Mia madre ci tiene sempre a ricordarmi due cose: che sono nata all'ora di pranzo e che, a un anno, la…

Mia madre ci tiene sempre a ricordarmi due cose: che sono nata all’ora di pranzo e che, a un anno, la pediatra mi aveva già messo a dieta. Due riferimenti precisi che sottolineano il mio costante e immancabile buon appetito. Il difficile rapporto con il mio corpo nasce forse da qui, da questo senso di colpa instillato e si dirama altrove come fosse un albero che mette radici un po’ ovunque e prende linfa da dove meno te lo aspetti: i cartelloni pubblicitari anni ’90, le letterine, Baywatch, i commenti sulle mie oscillazioni di peso, il trattamento DISUMANO con cui venivano bullizzati nella mia infanzia i corpi delle persone grasse o sovrappeso, quando ancora non esisteva il termine “bodyshaming”. Ho riso anche io di persone che definivamo “chiatte” “cicciobomba” “panzone”, ho detto cose discutibili sulle donne, sulle mie compagne di scuola meno in forma o poco avvenenti e non mi consola neanche il fatto che avessi appena quindici anni. Ero, senza autoassoluzioni, il frutto di quella società, né meglio né peggio. Ma quella società non si è volatilizzata, non è sparita a colpi di accuse di body shaming e campagne di body positivity. E mentre io nel frattempo sono cresciuta, ho allargato il mio sguardo e i miei studi, la mia consapevolezza, mi rendo conto che continuiamo a vivere in quel mondo, in quella società. Facciamo tutti il tifo per Vanessa Incontrada e poi abbiamo madri/padri/amici/compagni che ci guardano e giudicano. Eh sì, sono le stesse persone che commentano le gambe “importanti” di Emma o le labbra di Belen. Su Instagram ho ricevuto innumerevoli messaggi dello stesso tipo: famiglie che commentano cosciotti, chiappe, culi, pance (di donne) come se fossimo alla fiera dei bovini perché, diciamolo, l’oggettivazione del corpo femminile è ovunque: anche in famiglia. Noi donne l’abbiamo vissuta in maniera così profonda, da secoli, questa oggettivazione, da averla totalmente interiorizzata, persino noialtre che ci riteniamo femministe e continuiamo ad avere un rapporto problematico con il nostro corpo. «Ieri sera, appena tornata a casa, sono corsa a controllarmi le gambe» ha scritto Maria Cafagna su Instagram dopo il caso Marrone. Senza sapere, forse, che è la malattia di cui soffriamo in tante e non per colpa nostra. Io non mi controllo le gambe ma la pancia sì, da sempre. «La nostra cultura influenza le donne nell’interiorizzare il punto di vista di un osservatore sul proprio corpo e a vivere gran parte della loro vita in terza persona… Il processo psicologico dell’auto-oggettivazione, inteso come il continuo monitoraggio, può aumentare nell’individuo la vergogna e l’ansia e diminuire la consapevolezza degli stati corporei interni comportando numerosi rischi per la salute mentale». L’ho letto, per caso, in uno studio dell’Università di Torino e sono rimasta folgorata dalla precisione con cui ho visto descritte tantissime donne ossessionate dai loro corpi e dai corpi delle altre. Bisogna fregarsene dei giudizi, si dice, ed è vero, tutto verissimo. Sacrosanto. Ma penso anche che dentro di noi la teoria dell’oggettivazione ha già scavato, è arrivata fino in fondo trovando terreno più che fertile. Gli studiosi McKinley e Hyde (1996) hanno sviluppato una scala per misurare il costrutto della “Teoria dell’oggettivazione”. Il paradigma ha tre componenti. Il primo elemento è la sorveglianza del corpo, il grado in cui le donne, come un osservatore esterno, vedono il proprio corpo come un oggetto da guardare. Il secondo elemento è la vergogna. Questo comprende l’interiorizzazione delle norme di bellezza culturale. Quando, infatti, le donne sperimentano l’interiorizzazione pensano che il raggiungimento degli standard di bellezza proposti siano possibili, anche a fronte di una prova del contrario. Il terzo elemento si basa sul presupposto che alle donne venga insegnato a credere di essere responsabili per il loro aspetto e di avere la capacità e l’obbligo di modificare se stesse quando necessario. L’auto-oggettivazione porta auto sorveglianza, vergogna del corpo e nei casi più gravi disturbi alimentari, sessuali e umore depresso. Ma non solo, perché alla base di questa percezione del proprio corpo si nascondono problemi che possiamo avere in futuro in termini di autostima, affermazione personale e professionale, violenza. Non ne escono bene neanche gli uomini perché questa de-umanizzazione femminile perpetrata (da uomini e donne) nei secoli, causa percezioni distorte (ciao Davide Maggio) e getta i semi della violenza di genere, della prevaricazione. Eppure, invece di parlare di questo, invece di parlare di cultura e misoginia, sessualizzazione costante dei corpi mi rendo conto che su questi argomenti, quando succedono cose come quella accaduta a Emma Marrone, proliferano messaggi pieni di banalità: abbiamo inondato il Paese e le coscienze di «ogni corpo vale» e nel frattempo moriamo dentro.O corriamo a casa di nascosto a controllare la pancia e le gambe, senza il coraggio di dirlo a nessuno perché ci sentiamo pure immensamente stupide e frustrate. Io ho (quasi) fatto pace con me stessa e sono sicura che anche mia madre, prima o poi smetterà di fare commenti sul mio corpo, che sarà più indulgente con se stessa e con gli altri. Ho iniziato a mangiare e a vestirmi, tanto per citare Murgia in un video che ho pubblicato su Instagram, «come cazzo mi pare». Ma quell’ossessione del peso, dei corpi, sta sempre lì in un angolino della testa, pronta a esplodere sui social, sui media e a ricordarci che esiste, c’è ancora, non l’abbiamo sconfitta. E se la subiamo anche noi, con i nostri studi, le nostre letture, le nostre battaglie, non faccio altro che chiedermi: e le ragazze? Le giovani di oggi? Quanto sono davvero consapevoli di questi meccanismi? Stiamo facendo qualcosa per loro? Stiamo davvero cambiando le cose? Forse no. Forse continuiamo solo a banalizzare e a nascondere la polvere sotto il tappeto. Salvo poi ogni tanto urlare: «Medioevo! Bodyshaming!»

thePeriod
come un punto e a capo.

thePeriod è una newsletter settimanale, un punto a capo nella narrazione dei fatti che per la prima volta vengono raccontati da un altro punto di vista (che potrebbe essere anche il tuo).

Scelta da una community di quasi 18 mila persone, thePeriod è un progetto editoriale che punta a cambiare l’informazione in Italia smontando i processi che concorrono a legittimare nella società sessismo e discriminazioni.

Registrati e ricevi gratuitamente thePeriod.