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L’alleato politico sei tu

Quando, durante le Olimpiadi 2016, un giornalista della Bbc gli ha chiesto come si sentisse a essere il primo tennista a…

Quando, durante le Olimpiadi 2016, un giornalista della Bbc gli ha chiesto come si sentisse a essere il primo tennista a vincere due ori olimpici, Andy Murray laconico ha risposto: «Non sono il primo: Venus e Serena Williams ne hanno vinti quattro ciascuna». Un alleato politico è questo. È Murray alle Olimpiadi 2016, ma è anche Giorgio Minisini che demolisce le barriere del nuoto sincronizzato o John Stuart Mill, che in una società ottocentesca e profondamente maschilista, diventa il secondo parlamentare inglese a chiedere l’introduzione del suffragio femminile nel Regno Unito. Un s politico non è uno che fa quello che fa la parte offesa, la parte che subisce una discriminazione, la parte che è lesa nei suoi diritti, solo quando viene richiesto; né partecipa alla manifestazione di un dissenso solo a richiesta, o perché comandato dall’alto. L’alleato politico è chi si interessa a ogni diritto leso anche se non è coinvolto personalmente, o come gruppo, nella lotta per quel diritto. Essere un alleato significa, innanzitutto, comprendere che i diritti vanno difesi a prescindere da chi se ne giova, perché i meccanismi di potere oppressivi certamente schiacciano in maniera differente – per esempio a seconda di sesso, genere, orientamento –, ma altrettanto sicuramente si nutrono delle differenze di trattamento che creano, cioè dei privilegi concessi o ammessi per qualcuna delle parti in gioco. L’alleato politico ha anche questa funzione: smaschera la gerarchia dispari in azione nella società. Impara a partecipare a lotte, manifestazioni, iniziative, diffusione di cultura paritaria, non da protagonista: impara che si può essere importanti solo facendo numero, rendendosi presenti e disponibili, manifestando con la presenza o la parola o la firma una vicinanza non scontata ma preziosa. Non esattamente quello che ha fatto Giorgio Chiellini agli ultimi Europei. «Quando capiterà e ci sarà la richiesta dell’altra squadra» ha detto, di fronte alla protesta contro il razzismo, «ci inginocchieremo per sentimento di solidarietà e sensibilità, ma cercheremo sicuramente di combattere il razzismo in altro modo, con delle iniziative insieme alla Federazione nei prossimi mesi.» E invece l’alleato politico condivide una lotta, un fronte, un’iniziativa senza avere la pretesa di prendere parola o di decidere qualcosa, perché si fida di come le persone direttamente interessate gestiscono quello che succede. Partecipare significa essere presente, dare disponibilità, senza pretendere ruoli o visibilità, perché non è quella la «tua» lotta, ma sono quelle le tue alleanze. Quello che fai come alleato è soprattutto creare legami e ponti. Capita anche che un alleato politico sia qualcuno che ha molte più possibilità di chi è direttamente coinvolto nella difesa dei propri diritti. In questo caso la sua posizione è molto delicata: in quanto gestore di una grande visibilità, di una posizione pubblica nota, di risorse finanziarie, di un qualche privilegio, l’alleato dovrebbe ricordarsi che lasciare spazio e possibilità non significa concederle. Il gesto dell’alleato politico non è una concessione, è una condivisione; se necessario a rendere visibile la parte lesa, le sue parole, la sua esistenza, l’alleato è anche chi ci mette del suo ma sparisce, non viene nominato, non viene visto, perché la sua presenza potrebbe essere manipolata, strumentalizzata per sminuire le giuste rivendicazioni di chi è direttamente coinvolto nella lotta. Questi punti sono particolarmente ostici da comprendere per quegli uomini che vogliono partecipare a una forma di femminismo, quale che sia. Il loro principale compito da alleati politici dovrebbe essere l’impegno a discutere di questo con il proprio genere, e diffondere informazioni e linguaggi più corretti di quelli che normalmente gli uomini si scambiano su questi argomenti: la parità, i femminismi, le rivendicazioni LGBTQI+, le questioni di genere, e così via. Allo stesso modo, sono prigionieri di pregiudizi insensati quegli uomini che vorrebbero sostenere lotte nelle quali non sono direttamente coinvolti come oppressi – violenza sulle donne, sessismo della lingua, omolesbotransfobia, gender gap salariale – però non vogliono sentir parlare di femminismo perché la parola è divisiva. Divisivo è dettare condizioni quando non si hanno gli strumenti per capire la situazione, ma si vuole comunque aiutare. L’alleato invece sa che non potrà mai capire la situazione, quindi ne accetta le condizioni per poter dare una mano. E non ha paura a dirlo pubblicamente, come hanno fatto Andy Murray, Patrick Stewart (il capitano Picard di Star Trek) e Gordon Ramsay (celebre chef) che sostengono organizzazioni per l’aiuto delle donne vittime di violenza, e ne parlano pubblicamente. Giorgio Minisini e altri sportivi uomini si battono affinché cadano certe assurde barriere con le loro fatiche, con i loro sacrifici di sportivi. Ma tantissimi uomini che non hanno ruoli pubblici e non sono famosi hanno capito il valore di una reale alleanza politica con chi non è uomo etero cisgender bianco, e con le loro lotte. Nessuno di loro, per questo impegno, è diventato meno uomo etero cisgender bianco. Lo è diventato in maniera diversa, meno oppressiva e più libera.

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