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Cosa non fare se conosci una persona trans

Essere un ragazzo trans in una società binaria come la nostra non è mai un fatto strettamente personale. Non sei solo…

Essere un ragazzo trans in una società binaria come la nostra non è mai un fatto strettamente personale. Non sei solo tu a transizionare verso l’altro genere, ma tutte le persone che ti stanno attorno devono farlo con te. E per chi come me ha un passing* molto elevato ma non fa mistero della propria condizione trans a volte ci si imbatte in domande o situazioni poco piacevoli. Ma se l’80% – dati americani – delle persone cisgender non conosce personalmente una persona trans, come è possibile sapere come comportarsi? Una delle situazioni poco piacevoli in cui mi sono ritrovato è stato quando ho scoperto che il mio essere trans era stato raccontato a buona parte dell’azienda nella quale lavoravo dopo averlo detto al primo colloquio. Sembrerà strano parlarne già da subito, soprattutto perché i miei documenti sono aggiornati, ma preferisco sempre testare le acque e non dovermi ritrovare in un ambiente di lavoro omotransfobico – piccole precauzioni che una persona trans deve avere per navigare il mondo del lavoro italiano – . Quello che io ho subito da parte dei colleghi ha un nome ben specifico e per molte persone trans è una vera e propria violenza, si chiama outing. Questa pratica consiste nel raccontare a terzi che una persona è transgender; le motivazioni per le quali si può arrivare a farlo possono essere tante, ma nessuna è valida. Raccontare o meno della propria esperienza trans spetta solo ed esclusivamente alla persona interessata. Quando mi è successo la sensazione che ho provato è stata quella di violazione, una parte fondamentale di me era stata data in pasto ad altri senza che io lo sapessi. Questa sensazione di disagio nel sapere che la tua vita non ti appartiene ma sia fonte di discussione, a disposizione di curiosità altrui che – per quanto comprensibili perché non capita tutti i giorni di incontrare persone T – non ti portano rispetto, soprattutto se la persona che pone la domanda è una persona appena conosciuta. Mi sono trovato in una situazione simile mentre parlando con una ragazza, in una pausa da un lavoro che stavamo facendo insieme, ho fatto coming out (cioè ho raccontato di mia spontanea volontà di essere trans) e la seconda domanda che mi è stata posta è “come ti chiamavi prima?”. Io fortunatamente non ho problemi con il mio deadname o con il mio passato, ma non per tutt* è così. Alcun* soffrono anche solo nel pronunciare il nome assegnato loro alla nascita. Alcun* non hanno nessuna voglia di condividere con perfetti sconosciuti informazioni sul loro passato, o sulla loro intenzione o meno di effettuare operazioni, o di qual è la loro condizione attuale. Il corpo trans e il proprio passato appartengono solo ed esclusivamente alla persona T che non ha nessun dovere di condividere o anche solo educare le persone che ci stanno attorno. A volte è davvero estenuante doversi confrontare con micro-aggressioni continue, a domande invadenti oppure a continui misgendering; per me è stato molto difficile soprattutto all’inizio, quando prendevo gli ormoni solo da qualche mese e non avevo la barba che mi proteggeva da sguardi altrui e il passing non era buono come ora. Dopo aver fatto coming out come ragazzo T, ancora molte persone faticavano a utilizzare i giusti pronomi e continuavano a rivolgersi a me al femminile (questo è il misgendering). Per quanto l’ho sempre presa con filosofia, la sensazione di non essere preso sul serio era fortissima. Perché non venivo riconosciuto come ragazzo? Perché nonostante avessi esplicitato che i pronomi da utilizzare nei miei confronti erano quelli maschili, c’era chi ancora dopo mesi utilizzava il femminile? L’abitudine può essere una scusante all’inizio, poi è lecito pensare che sia solo pigrizia mentale o peggio malafede. Sentirsi chiamare con il proprio nome e i pronomi d’elezione (poi mannaggia alla lingua italiana che declina praticamente ogni cosa al femminile ed al maschile – niente neutro per noi) ti fa sentire vist* e valid*. E cosa vale di più? Il rispetto che si deve alla persona trans, o la difficoltà della persona cis ad adattarsi a questo cambiamento? Essere buon* alleat* vuole dire imparare a non mettere al centro il proprio disagio, difficoltà o la propria curiosità ma lasciare spazio alla persona trans, alle sue esigenze ed al suo inalienabile diritto a ricevere rispetto. 
 
*(termine inglese che sta a significare “passare” per una persona cisgender – cioè una persona che si identifica con il sesso biologico assegnato alla nascita)

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